Principi Ispirativi

In un determinato ambito, due sono gli scopi che il Creatore persegue: il primo è la creazione dell'IO come origine della nuova creatura alla quale è dato il compito, fra l'altro, di animare tutto il resto della creazione; il secondo è la sua maturazione: Dio colloca questo seme, cui Lui ha dato vita e forma, in un ambito, in un HIC ET NUNC, attraverso cui intende maturare lo svolgimento stesso di questo IO - così che l'IO prenda coscienza di sé e aiuti il Creatore nella missione sull'ambiente

Per contatti: hicetnunc.messina@gmail.it

venerdì 30 settembre 2011

Cosa è il matrimonio e cosa lo rende eterno


Angelo Trevisani -
 Lo Sposalizio di Maria Vergine (XVII sec.)

(...) Nel matrimonio si esprime in modo compiuto e maturo quella esigenza per la quale noi cerchiamo la completezza di noi stessi in un 'altra persona, che avvertiamo altrettutto essenziale alla nostra vita quanto il nostro stesso io. E', quindi, un gesto di profonda coerenza con la nostra natura umana e nello stesso tempo un atto di speranza in un compimento desiderato con tutte le fibre del nostro essere, il compimento di noi stessi, cui è legata la nostra gioia. Ma può realmente un' altra persona umana realizzare tanta attesa? O quest'altra non è, a sua volta, soltanto testimonianza e promessa di quella presenza e bellezza infinita che il nostro cuore desidera? "Mostrami una amante - scriveva uno dei più grandi autori della letteratura europea - che sia pur bellissima, a che servirà la sua bellezza se non come un consiglio, ove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella" (Shakspeare). Ecco perché dentro ogni vero amore c'è una certezza, quella di una presenza
più grande che possa realmente compiere e confortare la nostra esigenza di bellezza, cioè di verità e di bene, e c' è pure una domanda, una preghiera. Per cui dentro ogni vero amore sgorga sempre un dialogo con il Mistero di Dio. (...) La crisi dei rapporti coniugali nasce dalla pretesa di ricevere dall'altro ciò che Dio può dare. E così gli sposi, invece di unirsi nella comune ed umile domanda di grazia, si dividono nell'attribuirsi vicendevolmente la responsabilità della propria infelicità e del fallimento del rapporto. Solo nella domanda di qualcosa che è più grande di noi si salva l'unita tra di noi. (...)
Don Francesco Ventorino (estratto da una omelia di un matrimonio)

mercoledì 28 settembre 2011

Essere vulnerabili significa essere umani

Pubblico un contributo, di un caro amico, sull'educazione alla famiglia che ci insegna cosa vuol dire amare al propria moglie, il proprio marito.  

In un'intervista, uscita su Avvenire il mese scorso, Jean Vanier usava una frase che mi ha colpito molto. Dice: "Essere vulnerabili significa essere umani". Questa frase ci permette di uscire da una visione sbagliata di noi stessi. Essa mostra che la vera posizione dell'uomo di fronte alla vita è la fiducia in Dio che fa tutte le cose. E Dio non fa spazzatura. Dobbiamo uscire da una visione moralistica di noi stessi per cui tutto dipende dalla mia volontà. Dobbiamo uscire da una visione spiritualistica di noi stessi per cui pensiamo già di essere tutti angeli. Dobbiamo uscire da una visione razionalistica di noi stessi per cui l'uomo, con la sua ragione può sistemare tutto, con i suoi calcoli può sistemare tutto. L'imperfezione sia nostra che degli altri ci scandalizza. Anche semplicemente la diversità dell'altro, il suo non rispondere a ciò che avevo pensato di lui, i suoi limiti, i suoi difetti, come anche le sue grandezze mi rendono invidioso. Non sappiamo stare di fronte a questa diversità e vorremmo che - non so ….. (che altri) risolvessero tutte queste diversità. L'unità è fatta di tutte le nostre diversità anzi di tutte le nostre debolezze. Esse non contraddicono l'unità. Le nostre debolezze non contraddicono la nostra unità se riconosco ciò che sta prima. Se non riconosciamo l'oggettività della comunione a cui siamo chiamati le nostre diversità ci divideranno. Se invece riconosciamo la comunione che ci precede le nostre debolezze si convertiranno in concime che alimenterà la nostra comunione. L'esempio che mi viene in mente è quello di una madre e di un padre che hanno un figlio più debole, più fragile. ….. Allora amare che cos'è? Cosa significa amare, Amare Dio? Cosa significa amare il prossimo? Abbracciare l'umanità di Cristo. Amare significa abbracciare l'umanità di Cristo, il prossimo nella sua umanità presente. Riconoscere la moglie, riconoscere il marito, riconoscere il figlio, l'amico, la figlia - quello che ho accanto adesso - come membro di un unico corpo a cui io appartengo e che è la strada verso Dio. Tutta la profondità delle nostre azioni, dei nostri pensieri, anche dei nostri sentimenti si realizza solo nell'appartenenza a questo luogo in cui Dio ci ha messo e che si chiama comunione. La comunione non uccide il mio io, non uccide il tuo io ma anzi, al contrario, consente che il mio io, che il tuo io possa crescere, possa alimentarsi e trasformarsi, possa fiorire. La carità come abbraccio all'umanità di Cristo implica, dunque, un cambiamento di sguardo sulla persona che ho accanto, ripeto, a partire dal marito, dalla moglie, dal figlio, dalla figlia, dall'amico che ho accanto. Non significa accettare o tollerare l'altro, tollerare la sua diversità. Si tollerano le leggi non perfette, ma non si amano. Amare non significa tollerare. Si tollerano i fastidi ma non si amano. Si amano le persone. Amare significa scoprire che l'altro proprio nella sua alterità è la strada attraverso cui io imparo. L'altro, quello che ho accanto, il marito, la moglie così com'è. (….) Ma l'altro che ho accanto, mia moglie, mio marito sono proprio la strada attraverso cui io imparo ad amare, a conoscere e a scoprire chi è Dio. Il prossimo, mio marito, mia moglie, mio figlio, il mio amico è l'infinito che mi raggiunge attraverso la persona più vicina. La casa allora è la scuola della carità, luogo dove imparo ad amare. La famiglia è il primo luogo, il primissimo luogo dove impariamo la carità. La realtà allora non è più ostile, qualcosa di cui avere paura o qualcosa da cui difendersi, ma luogo dove c'è qualcuno che mi aspetta. La realtà non è più ostile, diventa luogo in cui c'è qualcuno che mi aspetta. La guerra contro il male è già stata vinta da Cristo per me. Questo cambiamento di sguardo e del cuore non può che avvenire se non nel silenzio e nella preghiera, nella esperienza concreta e reale dell'essere perdonato. Settimana scorsa sono stato in vacanza con un gruppo di scuola di comunità di Milano e lì tra le tante cose mi ha colpito un padre, un giovane padre che raccontava: "siamo partiti da casa ed io ero arrabbiatissimo. Mio figlio me ne aveva fatte di tutti i colori, una dietro l'altra. Proprio non ne potevo più. Mi son fatto tutto il viaggio per arrivare fin qui arrabbiato. E la sera quando me ne sono accorto (che odiavo mio figlio) mi sono sentito male. Allora l'ho chiamato e gli ho detto: «papà ti vuole sempre bene però oggi è stato veramente difficile, oggi è stata veramente dura. Mi perdoni?»". Il bambino non ci ha pensato nemmeno un secondo, è corso e lo ha abbracciato. E il papà mi diceva: "sai, io in quel momento mi son sentito perdonato come quando vado a confessarmi, ho sentito quell'abbraccio come un sacramento". E io gli ho detto che è proprio così. Dobbiamo imparare fra di noi a chiederci perdono, non dare per scontato che siccome siamo del movimento allora basta fare un po' di scuola di comunità e tutto si risolve. Se non chiedo mai perdono a mio marito, a mia moglie, se non vivo questa esperienza di essere abbracciato non capirò neanche la scuola di comunità. Sarà sempre come un qualcosa di estraneo. Non è possibile amare senza la preghiera personale, senza la preghiera comune. Non è possibile amare senza la confessione. In una famiglia dove non si prega assieme si pongono le premesse per il suo disfarsi. È proprio l'esperienza del perdono allora che mi permette, come dicevo prima, non avere più paura delle proprie ferite, della propria incapacità, perché c'è questo luogo che mi accoglie e mi rilancia sempre nella realtà. ... La comunione, la nostra comunione non è una organizzazione ma è un legame vitale. Che la Vergine Maria ci accompagni in questa lotta quotidiana che innanzitutto si gioca nel campo del nostro cuore. 
Don Daniele Dizione

venerdì 16 settembre 2011

L'Associazione Hic et Nunc nasce a Messina l'8 settembre 2011, stesso giorno della nascita della Beata Vergine Maria che è una delle 12 feste maggiori che la Chiesa celebra e a cui sono dedicate molte Chiese, tra cui il Duomo di Milano (a Maria Nascente)La data scelta è stata un caso e proprio questa corrispondenza non cercata ci sembra il primo segno del Suo sguardo benevolo sull'iniziativa



File: Albrecht Altdorfer - La Nascita della Vergine - WGA0221.jpg

Albrecht Altdorfer - La Nascita della Vergine